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L’affare del secolo: il secondo pilastro e gli assicuratori

Da L’affare del secolo, il pilastro 2e e gli assicuratori (pagine 126-131)

Si avvicina una scadenza importante. Tra pochi mesi si terrà una votazione decisiva sul futuro del sistema pensionistico svizzero. I cittadini decideranno su tre questioni:

  • La revisione del secondo pilastro (LPP 21), che riduce il tasso di conversione dal 6,8% al 6% e  migliora solo marginalmente la situazione delle donne;
  • L’iniziativa popolare dei Giovani Radicali di innalzare l’età pensionabile parallelamente all’invecchiamento della popolazione;
  • L’iniziativa del Partito Socialista e dei sindacati per una tredicesima rendita mensile AVS.

Tre temi che, a dipendenza dell’esito del voto, definiranno a lungo il quadro del futuro sviluppo delle pensioni in questo Paese. Con le dovute proporzioni, una scadenza politica che ha la stessa portata dello storico voto del 3 dicembre 1972 […].

È fondamentale non perdere l’occasione. Se la destra dovesse vincere, cioè accettazione della LPP21 e dell’iniziativa dei Giovani Radicali e rifiuto dell’iniziativa per un tredicesima rendita AVS, avrà allo stesso tempo mano libera per plasmare a proprio piacimento – e a quello degli assicuratori vita e dell’industria finanziaria – la previdenza del XXI secolo.

Sarebbe una grande sconfitta per la sinistra e per tutte le forze sociali e politiche che vogliono migliorare la situazione dei pensionati. Se, invece, la sinistra vincerà – respingendo la LPP21 e l’iniziativa dei Giovani Radicali e adottando la 13a mensilità AVS – sarà in grado di influenzare gli sviluppi futuri in questo settore. La posta in gioco è chiara. È una pura questione di forza politica. […].

In questo libro abbiamo cercato di mostrare in che misura il sistema dei tre pilastri sia stato progettato e configurato dagli assicuratori-vita. Si tratta di un lungo processo storico cominciato all’inizio del XX secolo. […].

Quando i primi assicuratori del ramo vita offrono alle aziende le prime polizze pensionistiche collettive, stanno esplorando una nicchia di mercato che sperano promettente. Nessuno, all’epoca, teorizza un sistema a tre pilastri in cui gli assicuratori assumono un ruolo di primo piano. Questo verrà più tardi con lo sviluppo dell’economia, ma anche a livello politico con l’emergere del tema della vecchiaia come priorità sociale. Ci vorranno decenni prima che il progetto prenda realmente forma, negli anni Cinquanta e Sessanta. A quel momento gli assicuratori-vita avevano conquistato gran parte dell’economia, in particolare l’industria finanziaria (banche, società di gestione patrimoniale, società di investimento, società di consulenza, ecc.), che vedeva chiaramente i vantaggi del risparmio forzato attraverso un secondo pilastro obbligatorio basato sulla capitalizzazione. Il voto del 3 dicembre 1972, che ha sancito questo sistema nella Costituzione, ha significato di fatto la finanziarizzazione della previdenza per la vecchiaia. E chi ci guadagna se non l’industria finanziaria?

Lo scandalo da 20 miliardi di franchi svizzeri […] fornisce un’illustrazione spettacolare dell’incredibile spazio di manovra che la politica ha concesso agli assicuratori-vita nella loro fiorente attività di previdenza collettiva. È forse l’esempio più riuscito di lobbismo politico del XX secolo. È vero che in Svizzera è facile fare lobbying a favore del liberismo economico, dato che la maggioranza dei parlamentari vi aderisce tanto quanto i lobbisti stessi.

Non dimentichiamo che questo scandalo

1) ha portato alla luce la quasi totale assenza di controllo da parte dello Stato sui rendimenti ottenuti dalle assicurazioni sulla vita con i fondi del secondo pilastro;

2) che questa situazione è perdurata per almeno quindici anni;

3) che le compagnie assicurative tenevano “una contabilità virtuale, che non appare ufficialmente a bilancio”;

4) che hanno mischiato in un unico calderone le attività private con quelle del secondo pilastro;

5) che in seguito è stato impossibile ricostruire i flussi di capitale in questione;

6) che non conosceremo mai l’importo totale delle eccedenze raccolte dagli assicuratori per mancanza di dati sufficienti…

E tutto questo nel contesto delle assicurazioni sociali! Come ha sottolineato l’ex consigliera federale Ruth Dreifuss: “Il vizio di forma, in fondo, sta nell’aver affidato ad assicuratori privati la gestione dei fondi di un’assicurazione sociale “.

Ma la cosa peggiore è stata la reazione del Consiglio federale dopo lo scandalo. Certo, all’epoca molti eletti di ogni orientamento politico esprimono la propria indignazione. Rapidamente si forma un consenso sulla necessità di una revisione completa della vigilanza. Parlamentari di destra e di sinistra raccolgono la sfida con convinzione. Purtroppo, il punto nodale della questione – la definizione delle eccedenze e la loro distribuzione – viene lasciato all’iniziativa del Consiglio federale che, sotto la guida del capo del Dipartimento delle Finanze, il radicale Hans-Rudolf Merz, opta per un metodo che favorisce fortemente gli assicuratori sulla vita. Si tratta della famosa quota minima o quota legale secondo il metodo lordo […]. E lo fa ignorando le raccomandazioni espresse dalla commissione parlamentare incaricata del dossier.

Come sappiamo, questo sistema garantisce per ordinanza federale un profitto (9,5 miliardi di franchi svizzeri dal 2005 al 2021) alle compagnie di assicurazione sulla vita che forniscono assicurazioni collettive nel secondo pilastro. In un mondo imprenditoriale così orgoglioso del suo liberismo senza macchia, questo è probabilmente un caso unico. In ogni caso sfacciato. Nello stesso tempo in cui questi assicuratori vengono colti con le mani nell’enorme sacco delle eccedenze (lo scandalo dei 20 miliardi), il governo non trova di meglio che garantire loro un profitto annuale perpetuo. Eh sì, bastava pensarci!

Ciliegina sulla torta: la previdenza professionale, con il suo meccanismo di capitalizzazione, si dimostra di una particolare inefficacia come assicurazione sociale […]. Semplicemente perché esclude qualsiasi effetto di solidarietà. Le rendite sono in calo da ben vent’anni; l’importo mediano delle nuove pensioni per il 2021 è un modesto 1.701 franchi al mese (1.782 franchi per l’AVS). Un’osservazione riassume questa mancanza di efficienza rispetto al primo pilastro: nell’AVS, 100 franchi di contributi finanziano 99 franchi di rendite, nella previdenza professionale 100 franchi di contributi finanziano 76 franchi di rendite. Un esperto incaricato dal Consiglio federale di esaminare i vantaggi comparativi di un sistema pensionistico a ripartizione [come l’AVS] e di un sistema a capitalizzazione [come il secondo pilastro] scrisse nel 1971: “Quanto più il secondo pilastro si basa sulla capitalizzazione, tanto più si darà peso a obiettivi che non sono principalmente prestazioni sociali”. Il secondo pilastro made in Switzerland si basa sulla capitalizzazione nel senso più stretto del termine.

Inoltre, è necessario fare una serie di ipotesi per anticiparne lo sviluppo. Soprattutto per quanto riguarda il finanziamento, che dipende in larga misura dalla salute dei mercati finanziari. Ancora una volta, si tratta di ipotesi o, meglio, di scommesse, che devono essere mantenute per decenni. Ecco cosa ebbe a dire un rappresentante della Banca Nazionale quando fu invitato a una riunione del comitato ad hoc del Consiglio degli Stati, che stava lavorando al progetto di LPP nel 1978: “Vorrei dire che è molto difficile, se non impossibile, fare una previsione affidabile su un periodo di 40 anni o più […]. Nessuno può garantire che le prestazioni [del secondo pilastro] saranno ancora finanziabili tra 20, 30 o 40 anni”. Eppure, la base finanziaria della LPP è stata costruita su previsioni di quaranta o più anni.

Oggi l’anello debole del finanziamento della previdenza per la vecchiaia è il secondo pilastro e non l’AVS, come si sostiene continuamente. Ripetiamo: le rendite LPP sono in calo da circa vent’anni e la previdenza professionale è in deficit cronico almeno dal 2007. Il sistema sta lentamente ma inesorabilmente implodendo. Ecco perché la destra sta cercando di imporre le sue cure da cavallo. In altre parole: abbassare il tasso di conversione, che inevitabilmente ridurrà l’importo delle pensioni, anche se si adottano misure di compensazione (altrimenti sarebbe un’operazione a somma zero); aumentare l’età pensionabile, o i contributi, o entrambi, ecc. E poi, l’arma letale: abbassare gli attuali livelli pensionistici, cosa attualmente impossibile a causa della LPP. Ma basta rivedere la legge. Questo ci riporta all’inizio di questa conclusione: il voto decisivo sulle tre questioni relative alle pensioni. Se la destra vince, si aprirà un’autostrada davanti a loro.

È ben al di là dello scopo di questo piccolo libro immaginare una revisione del nostro sistema pensionistico che tuteli gli interessi del maggior numero possibile di persone. Ma è perfettamente fattibile, ad esempio esaminando le possibilità di “sgonfiare” il secondo pilastro, o almeno di congelarlo allo stato attuale, a favore di una crescita significativa dell’AVS, e in particolare delle pensioni. In rapporto al PIL, le pensioni non sono praticamente cambiate dal voto del 3 dicembre 1972. Del resto, questo era quanto avevano previsto gli assicuratori-vita. D’altra parte, nessuna delle promesse fatte prima del voto è stata mantenuta, ad eccezione del secondo pilastro obbligatorio. In poche parole, la dottrina dei tre pilastri è una vera e propria menzogna.

…tanto per capire un po’ di secondo pilastro

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